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Morire in carcere

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Messaggio Da FIOKKETTA Mer 4 Nov - 21:16



Quanti casi come questo ci saranno in Italia?
FIOKKETTA
FIOKKETTA

Cane

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Messaggio Da URSULA Mer 4 Nov - 21:46

Tremende queste storie e purtroppo sono realtà...
di casi così ce ne sono stati, ce ne sono e speriamo non ce ne saranno più

Ha ragione Roberta Radici quando dice "non gliene frega niente a nessuno"
quando si sente dire "è colpevole chi ha rubato ma anche chi sta nel sacco" mav....o!
Il prete che non fa nulla per poter avvisare il ragazzino di 14 anni rimasto solo a casa con la nonna anziana.
e quando l'ispettore le dice: "come quando può rivedere Aldo! Dopo l'autopsia!"
Ma che azz di mondo! Molti si preoccupano per una croce de legno ma se ne fregano se qualcuno schiatta in carcere per un po' di marijuana e corcato de bastonate!


dal blog veritaperaldo.noblogs.

Report del presidio del 28 novembre 2009

Morire in carcere 28102010
Sono stati circa un centinaio i partecipanti al presidio promosso dal "Comitato Verità per Aldo" presso il Tribunale di Perugia di mercoledì 28 ottobre. Una buona partecipazione considerando l’orario lavorativo e il giorno infrasettimanale che dimostra ancora una volta il forte legame della città di Perugia alla triste vicenda che colpì Aldo e tutta la sua famiglia.
L'udienza in relazione alla richiesta di rinvio a giudizio nel procedimento nei confronti dell’agente di custodia polizia penitenziaria addetto alla sorveglianza presso la sezione B ha avuto tutto sommato un finale positivo, segnando un piccolo passo in avanti nella dura strada verso la verità e la giustizia per la morte di Aldo.
Il giudice ha infatti rinviato a giudizio la guardia carceraria accusata di omissione di soccorso e falsificazione dei registri di entrata e uscita del braccio carcerario di sua competenza ed ha inoltre rifiutato il rito abbreviato richiesto dalla difesa. Si dovrà quindi aprire un lungo processo dove, inevitabilmente, emergeranno nuove considerazioni soprattutto in merito al perché l’agente abbia dovuto falsificare quei registri e su chi e che cosa ha dovuto “coprire” con quell’illecito.
Numerose altre questioni riguardanti questa prima inchiesta emergeranno a partire dal 25 novembre, giorno della prima udienza del processo nei confronti di colui che sembra sempre più interpretare il ruolo di capro espiatorio di un sistema i cui aguzzini e torturatori continuano a rimanere ancora impuniti.
Altro punto importante da sottolineare è la costituzione del “Comitato verità per Aldo” come parte civile. Non poteva essere altrimenti, il comitato in tutti questi anni è sempre stato impegnato in prima linea a sostenere iniziative di solidarietà concreta nei confronti dei familiari, oltre che economicamente, soprattutto nel mantenere viva e accesa l'attenzione sulla vicenda.

Le attività del Comitato non si fermeranno di certo.
Invitiamo tutti e tutte a visitare il nostro blog per seguire e rimanere aggiornamenti sulle prossime mobilitazioni e iniziative. La necessità di verità e giustizia non si placa!
Perchè di carcere non si può morire!
Perchè in carcere per qualche pianta d'erba non si deve finire!
URSULA
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Messaggio Da FIOKKETTA Mer 4 Nov - 21:52

file audio registrato nel penitenziario di Castrogno, Teramo, in cui si sente un dialogo tra guardie carcerariediffuso il 2 novembre 2009
FIOKKETTA
FIOKKETTA

Cane

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Messaggio Da URSULA Mer 4 Nov - 22:05

"ma il detenuto l'hai massacrato in sezione... e non si può massacrare in sezione un detenuto... si massacra sotto..."
URSULA
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Messaggio Da FIOKKETTA Gio 5 Nov - 11:09

Stefano Cucchi, la licenza di uccidere e il Trattato di Lisbona
3 novembre 2009
da Il blog di Carlo Vulpio

L’assassinio di Stefano Cucchi è stato definito, non senza ragione, “pena di morte all’italiana”. Ma una “pena” viene in qualche modo comminata con una sentenza alla fine di un processo, persino se si tratta di un processo farsa.

L’assassinio di Stefano, invece, a essere precisi, è la “licenza di uccidere” che alcuni banditi travestiti da poliziotti o da carabinieri, con sempre maggiore frequenza, si autoattribuiscono.

Uccidono sottraendo allo Stato il monopolio punitivo, senza processo e senza sentenza, e nonostante l’ordinamento giuridico ripudi la pena di morte.

Figuriamoci cosa accadrebbe, è l’interrogativo che sorge spontaneo e sul quale tutti dovremmo riflettere, se in qualche piega dell’ordinamento, magari in maniera surrettizia, si nascondesse la previsione di poter irrogare una qualche forma di “pena di morte”, o peggio, di poter esercitare impunemente – in quanto protetti da un articolo di legge, un comma, un inciso, un allegato, un protocollo – il “diritto” di sopprimere la vita altrui, insomma cosa accadrebbe se fosse una norma a prevedere la “licenza di uccidere”.

Non meravigliatevi, ma purtroppo quella norma, quella “clausola” oggi esiste. E si trova nel fatidico Trattato di Lisbona, da ultimo approvato con referendum anche dall’Irlanda.
Ma prima di scovarla e di denunciarla (ma come ci è finita dentro il Trattato di Lisbona senza che nessuno se ne sia accorto?), affinché venga cancellata, andiamo per un attimo a ritroso nel tempo e, assieme alla fine di Stefano, ricordiamo i casi simili degli ultimi anni. I più eclatanti, o almeno quelli più noti, perché hanno avuto la “fortuna” di finire sui giornali.
Vedremo che come hanno ucciso Stefano Cucchi, così hanno fatto fuori anche “gli altri”. E allo stesso modo potrebbero eliminare chiunque, soprattutto se forti di una norma che lo preveda.

Il 14 ottobre 2007, Aldo Bianzino, 44 anni, falegname, finisce in carcere a Capanne, Perugia, per aver coltivato qualche pianta di marijuana. Pestato a morte, ne uscirà cadavere. Il processo, dopo mille difficoltà, è riuscito a partire ed è tutt’ora in corso, nonostante il pm Petrazzini avesse chiesto l’archiviazione del caso.

Il 25 settembre 2005, a Ferrara, Federico Aldrovandi, 18 anni, fermato per strada dalla polizia per un controllo, viene ammazzato a manganellate.

Il 6 luglio 2009, per l’omicidio di Federico quattro poliziotti – Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani, Luca Pollastri – sono stati condannati a tre anni e sei mesi di reclusione per “eccesso colposo nell’omicidio”. Grazie all’indulto del 2006, non hanno scontato un solo giorno di carcere. Dei quattro, oggi non si hanno notizie. Cos’ha fatto il ministero dell’Interno, li ha radiati, sospesi, trasferiti o premiati?

L’11 luglio 2003 viene ucciso nel carcere di Livorno, dov’era rinchiuso per un furto, Marcello Lonzi, 28 anni. Il pm Roberto Pennisi dice che Marcello è morto per infarto e chiede l’archiviazione del caso. La madre del ragazzo denuncia il pm e il caso (con l’imputazione di omicidio per due agenti penitenziari e un detenuto) viene riaperto nel 2006.

La sera del 19 marzo 1999, a Matera, Angelo Raffaele De Palo, 31 anni, viene arrestato per oltraggio a pubblico ufficiale e accompagnato in Questura, dove viene ucciso a craniate contro il muro. Per omicidio preterintenzionale l’ispettore di polizia Francesco Ambrosino viene condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Il 7 ottobre 1997, Francesco Romeo, 28 anni, viene pestato con bastoni e manganelli nel carcere di Reggio Calabria fino a perdere la vita. In un procedimento pieno di punti oscuri e di domande lasciate senza risposta, il pm Roberto Pennisi (lo stesso di Livorno) chiede l’assoluzione di 19 dei 21 imputati (agenti penitenziari) perché avrebbero reso le loro dichiarazioni in assenza dei legali.

E ora torniamo alla “licenza di uccidere” contenuta nel Trattato di Lisbona. Nel quale sono state assorbite pari pari non una, ma due norme “mortuarie”.

La prima norma “mortuaria” è l’articolo 2 della Convenzione europea sui diritti umani (CEDU) approvata dal Consiglio d’Europa nel 1950 (il Consiglio d’Europa nasce nel 1949 per promuovere la democrazia e i diritti umani, conta 47 Stati membri ed è organizzazione diversa dall’Unione Europea).

L’articolo 2 della CEDU si legge in fretta:

“Paragrafo 1. Il diritto alla vita di ciascuno sarà protetto dalla legge. Nessuno sarà intenzionalmente privato della sua vita eccetto che in esecuzione di una sentenza di un tribunale che faccia seguito a una condanna che preveda legalmente quella pena. Paragrafo 2. La privazione della vita non sarà considerata una violazione di questo articolo quando essa risulti dall’uso della forza in condizioni assolutamente necessarie:
a) In difesa di una qualunque persona soggetta a violenza illegale;
b) Al fine di eseguire un arresto legale o di prevenire la fuga di una persona legalmente detenuta;
c) Nel corso di un’azione legale intrapresa per sedare una rivolta o una insurrezione”.
E’ vero che questo articolo venne scritto sessant’anni fa, quando ancora diversi Paesi prevedevano la pena di morte nei rispettivi ordinamenti, ma è altrettanto vero che va rivisto al più presto, anche perché qui si tratta di riconoscere il potere di “privazione della vita” non al boia che esegua una sentenza, ma a chi in quel momento (un ufficiale di polizia, per esempio) giudica di essere di fronte a una rivolta o a una insurrezione – di cui tra l’altro la CEDU non fornisce alcuna nozione - e ordina di sparare. Insomma, 10, 100, 1000 possibili repliche di “Bolzaneto” e del G8 di Genova, edizione 2001.
La seconda norma “mortuaria” si trova nascosta all’interno del “memorandum esplicativo” del protocollo numero 6, poi diventato numero 11, approvato sempre dal Consiglio d’Europa nel 1983.
Quel protocollo numero 6 è stato oggi ratificato da tutti gli Stati membri del medesimo Consiglio d’Europa, eccetto la Russia. Dice l’articolo 1 (Abolizione della pena di morte) del protocollo numero 6: ”La pena di morte è abolita. Nessuno può essere condannato a tale pena, o giustiziato”.
Bene.
Però, subito dopo, c’è l’articolo 2 (Pena di morte in tempo di guerra), che dice: “Uno Stato può introdurre la pena di morte nella sua legislazione rispetto ad atti commessi in tempo di guerra o di imminente minaccia di guerra; tale pena verrà applicata solo nei casi previsti dalla legge e in accordo con le sue norme”.
Queste due “cosine” (articolo 2 della CEDU e articolo 2 del protocollo numero 6) sono un pericolosissimo cavallo di Troia per i diritti umani e per la promessa di democrazia dell’Europa unita, e vanno subito abrogati da ogni convenzione o trattato, tanto più da quelli che hanno l’aspirazione di diventare base di “costituzioni” europee.
La cosa migliore che si può dunque fare, immediatamente, dopo l’assassinio di Stefano Cucchi, è asciugarsi le lacrime, poiché gli occhi lucidi non aiutano a leggere.
Invece, se riusciremo a leggere, nonostante il profondo dolore e il grande smarrimento, potremo tener viva la vicenda di Stefano e di tutti gli altri crepati in corpo a manganellate e bastonate chiedendo a tutti i parlamentari europei di correre ai ripari e di cancellare la “licenza di uccidere” contenuta nel Trattato di Lisbona.

Il Fatto Quotidiano
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Pazzesco Morire in carcere 75291
FIOKKETTA
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Cane

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Messaggio Da FIOKKETTA Mer 11 Nov - 14:03

Aperta un’inchiesta per omicidio colposo. La madre: era sano, adesso voglio la verità


Parma, 32enne muore
dopo una notte in cella



Giuseppe Saladino era stato fermato dopo aver violato gli arresti domiciliari per un furto di monetine

PARMA - Quindici ore in carcere e una folla di perché. Un giovane di 32 anni morto senza che ci sia un apparente motivo. Una madre che accusa: «Era sano, me l’hanno risenza vita». Un’inchiesta per omicidio colposo contro ignoti, per ora. Un carcere, quello di via Burla a Parma, che si ritrova all’improvviso sotto i riflettori. Troppo presto, ancora, per fare analogie con il terribile caso di Stefano Cucchi: comunque una bruttissima vicenda, aperta a qualsiasi sviluppo, tutta da decifrare. Giuseppe Saladino aveva 32 anni, non era uno stinco di santo, ma nemmeno un delinquente incallito. Qualche mese fa, era stato condannato a un anno e due mesi di reclusione dopo essere stato pizzicato mentre faceva incetta di monetine in alcuni parchimetri del centro storico. Una condanna esemplare, come si dice in questi casi, con l’unica consolazione di poterla scontare a casa, agli arresti domiciliari, sotto gli occhi della madre, Rosa Martorano.
Tutto è filato liscio fino a venerdì scorso quando, a metà pomeriggio, Giuseppe, non rendendosi forse conto della gravità del gesto, è uscito di casa: di fatto, per il codice penale, si è trattato di una evasione. La sua passeggiata però è stata di breve durata. Sorpreso da una pattuglia della polizia e riconosciuto, è stato immediatamente portato nel carcere di via Burla. Addio domiciliari, per lui. Erano le 17 di venerdì quando le porte del penitenziario si sono chiuse alle sue spalle. Quindici ore dopo, alle 8 di sabato, in casa della madre Rosa è squillato il telefono. All’altro capo del filo c’era il direttore del carcere: voce bassa, tono di circostanza. Racconta la donna ai microfoni di Tv Parma: «Il direttore mi ha detto che Giuseppe era morto, che era stata una cosa improvvisa, inspiegabile, mi pare abbia parlato di un malore. Poi ha aggiunto che aveva voluto telefonarmi di persona perché aveva preso in simpatia il mio ragazzo e perché sapeva che siamo brave persone... ».
Parole, ovviamente, che non possono bastare a una madre. La donna, infatti, si è immediatamente rivolta a un avvocato, deciso a fare luce: «Voglio sapere, voglio che tutto venga chiarito, non può succedere una cosa del genere». Il lavoro del legale Letizia Tonoletti, alla quale si è rivolta Rosa Martorano, parte da un assunto («Il ragazzo, quando è entrato in carcere, era sano») e da un interrogativo («Cosa è successo in quel breve lasso di tempo?»). Due periti, uno nominato dalla famiglia, l’altro dal sostituto procuratore Roberta Licci, avranno il compito di risalire alle cause del decesso, prima tappa di un percorso investigativo che punta a ricostruire nei dettagli quelle maledette 15 ore trascorse dal giovane nel carcere di via Burla. L’autopsia è già stata eseguita, i risultati si conosceranno nei prossimi giorni.

11 novembre 2009 Corriere della Sera - ‎4 ore fa‎
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Spero ke tutte le persone morte in carcere un giorno avranno giustizia.....
FIOKKETTA
FIOKKETTA

Cane

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Messaggio Da cat Gio 12 Nov - 1:46

io spero solo una cosa che ci sia giustizia perche nn e' possibile morrire cosi e che nn paghi mai nessuno
cat
cat

Dragone

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Messaggio Da URSULA Gio 12 Nov - 9:46

Il racconto dei militari: Cucchi rimase con la polizia penitenziaria
Sentiti in Procura quattro uomini dell'Arma: "Da noi nessuna violenza"
La verità dei carabinieri
"Non entrammo nella cella"


Secondo le testimonianze il giovane rimase con la polizia penitenziaria
di CARLO BONINI



Morire in carcere Stor_110
Stefano Cucchi con la famiglia

ROMA - Chi sono e come si muovono i carabinieri che la mattina del 16 ottobre hanno in consegna Stefano Cucchi? La Procura della Repubblica ne individua quattro e ne raccoglie le testimonianze in due momenti diversi (due di loro sono stati sentiti una seconda volta sabato scorso). Per scoprire che nel loro racconto - come del resto in quello di S., il detenuto africano testimone del pestaggio - nei sotterranei del palazzo di Giustizia in cui Cucchi comincia a morire le uniformi continuano ad avere un solo colore. Quello della Polizia penitenziaria.
I quattro carabinieri - vedremo perché - riferiscono di non aver potuto vedere, né sentire cosa accade nel corridoio delle camere di sicurezza tra le 9.30 e le 12.50 di quella mattina. Di non aver usato con quel ragazzo "nessuna forma di violenza", né "fisica", né "psicologica". Documentano di essersi congedati da Cucchi alle 13.30, convinti di aver riconsegnato alle celle, dopo il processo per direttissima, un "soggetto in buono stato di salute e idoneo alla detenzione".
La mattina del 16 ottobre, dunque. Alle 9.20, Stefano Cucchi - che una nota interna all'Arma vuole con la schiena non ancora spezzata perché "capace di vestirsi e stringersi le stringhe delle scarpe da solo" - lascia la camera di sicurezza della caserma di Tor Sapienza (dove ha trascorso la notte) diretto al tribunale. È su una macchina con due carabinieri: M. ed S. (sono le iniziali del cognome che "Repubblica" conosce).
Stefano li vede per la prima volta, perché inquadrati in una "compagnia" (la "Casilino"), diversa da quella cui appartengono i cinque militari che, la notte prima, lo hanno arrestato (la "compagnia Appio"). M. ed S. riferiscono che, "durante il tragitto", il ragazzo "interagisce normalmente" e rifiuta la proposta di un controllo in ospedale prima di raggiungere il Tribunale. Cucchi, insomma, è vigile. Ha fretta di andare a processo.
Intorno alle 9 e 30, la macchina con a bordo Cucchi è nel garage del Tribunale. E qui, incontra una seconda auto dei carabinieri. Ne scendono due cittadini albanesi, fermati come Stefano la notte precedente, e due militari che li accompagnano. Sono il maresciallo T. e il carabiniere A., della "compagnia Appio". Stefano li riconosce perché sono due dei cinque militari che lo hanno arrestato la sera precedente al parco degli Acquedotti e che dovranno comparire con lui nell'aula della "direttissima". Poco dopo le 9.30 - riferiscono T. ed A. - Cucchi e i due albanesi "vengono consegnati agli agenti della penitenziaria" di piantone alle camere di sicurezza nei sotterranei del Palazzo di Giustizia. La porta blu cobalto che introduce alle celle si richiude alle loro spalle e i quattro carabinieri (i due della "compagnia Casilino", i due della "Appio") lasciano i sotterranei.
A stare alla loro testimonianza, due raggiungono l'ufficio arrestati per depositare i verbali di fermo di Cucchi e degli albanesi. Un terzo è impegnato a consegnare negli uffici del perito del tribunale lo stupefacente sequestrato a Stefano al momento dell'arresto ("20 grammi di hashish, 2 grammi di cocaina, 1 spinello, 2 pasticche di ecstasy"). L'ultimo è "all'ufficio postale" interno al palazzo di Giustizia per "depositare su un libretto infruttifero i 90 euro confiscati durante l'arresto". Insomma, per almeno un'ora, nessuno dei quattro è neppure nei paraggi delle celle di sicurezza dove Cucchi ha cominciato la sua attesa. Il maresciallo T. e il carabiniere A. tornano infatti alle camere di sicurezza intorno alle 11 "soltanto per accompagnare in aula" i due albanesi di cui è stato "chiamato" il processo. Pratica che richiede un qualche tempo. T. ed A. riferiscono infatti che "il cancelliere della settima sezione", una volta chiusa l'udienza, li invita "a trattenersi in aula" per attendere e sollecitare la perizia sullo stupefacente del processo Cucchi. Cosa che i due fanno, "contattando telefonicamente" il carabiniere che è rimasto negli uffici del perito.
La porta che dà sulle celle dei sotterranei torna dunque ad aprirsi ai carabinieri soltanto alle "12.50", perché è questa l'ora in cui T. e A. dicono di essere stati "chiamati" dagli agenti della penitenziaria per l'accompagnare Cucchi in aula. Nel ragazzo dicono di "non notare nessuna alterazione fisica". Confermano il suo nervosismo per l'esito del processo e indicano l'ora del congedo dal padre in aula, quando sono ormai "passate le 13.15".
Stefano Cucchi, ora, è di nuovo da solo con i carabinieri. E percorre a ritroso la strada per i sotterranei insieme ai 4 i militari con cui è arrivato in tribunale. In una discesa - dicono - "senza problemi". Che, ad un certo punto, li vede separarsi. Due carabinieri si dirigono verso il garage "per recuperare gli effetti personali di Cucchi rimasti in macchina". Il maresciallo T. ed A., sbrigano invece le formalità di consegna al Nucleo traduzioni che attende nei sotterranei. Sono le 13.30. "Il soggetto è in buono stato di salute e idoneo alla detenzione". Se ha già la schiena spezzata (come lascerebbe presumere la testimonianza del detenuto africano S. che colloca il pestaggio nella tarda mattinata), i carabinieri non se ne sono accorti. Se è ancora intera, chi sta per rompergliela lo farà nei venti minuti che stanno per cominciare. Prima che, alle 14, il medico del tribunale venga chiamato nei sotterranei.
da repubblica.it
__
(avrei da commentare ma vado di fretta Morire in carcere 850649 pensateci voi nel frattempo)
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Messaggio Da URSULA Gio 12 Nov - 18:48

ma... non avete nulla da dire o aspettavate il mio commento? Morire in carcere 538580

stamane avevo tutta 'na roba in mente... mo me so scordata che volevo dìMorire in carcere 75291 ...Rickyyyyyyy procurami del Fosforil 1000 ahahhaha
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Messaggio Da Ricky Gio 12 Nov - 19:54

Ursula dovresti sapere che i post lunghi devo essere tagliati Morire in carcere 647252 ! Altrimenti scoraggiano la lettura. Mò me banna Morire in carcere 714467

smac
Ricky
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Messaggio Da URSULA Gio 12 Nov - 21:45

Beh si è vero, spesso scoraggiano... ma dipende poi dall'importanza dell'articolo e dall'individuale interesse per un argomento.

(io non banno mai... se non in casi eccezionalissimi... prrrrrrr)
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Messaggio Da URSULA Gio 19 Nov - 22:41

attenzione, le immagini potrebbero essere forti per i più sensibili

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